7 romanzi arabi e arabi diasporici sui narratori
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7 romanzi arabi e arabi diasporici sui narratori

Nov 07, 2023

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In The Skin and Its Girl, il mio scrivere sull’identità araba è guidato sia da una ricca tradizione narrativa personale e culturale, sia da un’ansia arabo-americana forse endemica riguardo al modo in cui le nostre storie vengono raccontate in Occidente. Ho ereditato, senza sapere veramente che lo stavo ereditando, un conforto esistenziale nella narrazione che il mio jiddo conservava per il tempo senz'aria dopo i pasti, quando i piatti erano puliti ma Jeopardy non era ancora acceso, o la grigliata era finita ma il fuoco era ancora caldo e nessuno sapeva bene cosa fare prima che fosse ora di mangiare di nuovo. Il suo era uno stile tramandato dal vecchio paese ma affinato dalla sua squadra di acciaierie, attenta a notare chi era un uovo buono e chi era la mela marcia, e le sue storie erano capaci di dispiegarsi per riempire un contenitore temporale di qualsiasi dimensione.

Strutturate dalla ripetizione, dalla fiducia e dalla deliberata incertezza sul fatto che la soluzione finale potesse alla fine sfociare nel realismo, nell'assurdità o in una semplice battuta finale, le storie mi hanno affascinato. Hanno influenzato anche il tipo di storie che noi cugini abbiamo inventato l'uno per l'altro, a cavallo tra realtà e fabulismo. Quando ho iniziato a scrivere seriamente nei primi anni 2000, la narrativa proveniente da una vena letteraria realista magica sembrava naturale. Ma quando ho iniziato a cercare di scrivere di più sulla parte del mondo dei miei antenati, ho scoperto che molti di essi erano distorti da una lente orientalista: quei postumi colonialisti che preservano i pregiudizi razziali nelle rappresentazioni delle culture SWANA.

Il problema affonda le sue radici nella (in)famosa traduzione del 1885 del Libro delle mille notti e una notte di Sir Richard Francis Burton. Nessuno lo trafigge meglio di Diana Abu-Jaber, che scrive su Crescent che il progetto è "la sua famosa, criminale, suggestiva, versione imperiale della follia vittoriana dissolta nel cielo sopra il Medio Oriente". Oggi ispira ancora la scrittura diretta al pubblico occidentale perché le sue storie sono così riconoscibili, e anche i romanzi critici nei confronti della sua influenza spesso fanno comunque i conti con esso. Eppure, per tutte le storie che Sheherazade racconta al sultano Shahriyar, ce ne sono altre che preservano, di volta in volta, l'umorismo, l'avventura, la ricchezza e l'istruzione morale di una più ampia tradizione di racconti popolari orali. Alcune di queste storie compaiono in opere meno conosciute; ad esempio, quando ho scritto The Skin and Its Girl, ho trovato ispirazione nei racconti arabi palestinesi registrati in Speak, Bird, Speak Again (Sharif Kanaana e Ibrahim Muhawi, 1989).

Sono ansioso di condividere questi sette romanzi. Figure familiari infestano i loro confini, ma quello che mi sembra di essere a casa è il modo in cui coinvolgono il loro pubblico, prendendoci in giro, facendo finte e blandendo sottilmente finché non ci troviamo trasportati in un mondo espanso. Ho imparato moltissimo da questi scrittori, in particolare nel modo in cui utilizzano gradi di narrazione postmoderna e autocosciente per controcolonizzare la narrativa e rivendicare l'azione culturale.

Naguib Mahfouz (1911–2006) ha trascorso una carriera straordinariamente prolifica al Cairo ed è, finora, l'unico scrittore arabo ad aver vinto un Premio Nobel per la letteratura. Per il suo profondo interesse per la politica egiziana e per il suo stile di scrittura allegorico, condivide con Salman Rushdie la sfortunata distinzione di essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio provocato dalla reazione degli estremisti al suo lavoro.

Prendendo in prestito lo stile tradizionale di Le Mille e una notte, questo ampio seguito riprende quando il sultano Shahriyar sceglie di sposare Shahrzad seguendo la sua scommessa narrativa di vita o di morte, che ha salvato la sua vita e quella di molti altri. Il sultano ora si impegna a adottare uno stile di leadership che prevede meno stupri e omicidi, ma la trasformazione personale non fa nulla per cambiare la corruzione fondamentale della sua città, dei suoi governatori o dei mercanti che hanno tratto profitto da una vita di favori. Shahrzad dice che "[solo] gli ipocriti sono rimasti nel regno", ma poi i geni iniziano ad apparire a vari personaggi, costringendo il caos moralmente ambiguo dall'eredità tossica di suo marito.

È una delle ironie moderniste del romanzo che il suo elemento più fantastico - i geni - provochi le critiche realistiche più taglienti del romanzo. La premessa si basa sul lettore contemporaneo di Mahfouz, in particolare un lettore egiziano, con il quale si intende entrare in risonanza l'esperienza di vivere in un sistema corrotto e ipocrita. Legati da un fermo filo filosofico, i suoi capitoli episodici sono spinti dalla complessità del desiderio di una società più etica. Mahfouz scrive con un tono freddo e controllato; il testo originale serve, da un lato, a contenere e amplificare la sua critica, e dall'altro a farla scivolare dietro uno schermo coinvolgente che rende indirettamente la sua protesta, proprio come la narrazione di Shahrzad protestava contro la crudeltà del sultano.